Affresco del Brusasorzi

(Tratto da una ricerca storica di Leonardo Ricci e Giuseppe Gerola edita in Trento nel 1901)

Il Congresso di Bologna e la doppia coronazione di Carlo V - La cavalcata in suo onore - Le due rappresentazioni del Brusasorci e dell' Hogenberg.

...Quando, per il Trattato delle Dame (Cambray, 1529), Francesco I di Francia, con la solita cavalleresca leggerezza, ebbe improvvisamente sacrificato al proprio interesse i suoi fedeli alleati italiani, abbandonandoli all'arbitrio di Carlo V, l'imperatore,
come è noto, venne in Italia, sgombra ormai da' suoi nemici, a farsi incoronare dal papa.
Passando da Spagna a Germania, sbarcò a Genova, e si diresse alla volta di Bologna con un imponente corteggio quale si conveniva a siffatta occasione, composto di mille cavalli, novemila fanti spagnoli e ottomila tedeschi.
A Bologna lo aspettava e sfarzosamente lo accolse Clemente VII, che pur poc'anzi aveva veduto dall'alto del Castel Sant'Angelo, annuente Cesare, Roma in preda all'orribile strazio delle milizie imperiali.
E li, sotto gli auspici dei due sovrani, presenti la maggior parte dei principi italiani, amici sollecitatori di favori o nemici sottomessi ed ossequenti, ma pronti tutti a prostrarsi, si tenne il famoso Congresso di Bologna (1529-30), destinato a dare un nuovo assetto all' Italia. Meglio anzi sarebbe detto, a sanzionare la sua secolare servitù dacchè quasi tutti, in atto di sudditanza, si obbligarono a ingenti contribuzioni: l'imperatore, oltre Napoli, ebbe assegnato il ducato di Milano alla morte di Francesco II Sforza; furono istituiti e ricostituiti in forma assoluta vari feudi e stati; e la giovane repubblica di Firenze, la quale a nessuno si era piegata, fu lasciata in balia alle forze riunite del papa e dell'imperatore, che ben presto, dopo il memorando assedio, le dovevano imporre la tirannide di Alessandro de' Medici.
Il Congresso però servi solo d'introduzione alla cerimonia della doppia incoronazione, che Carlo V avrebbe
voluto fare a Milano per la corona ferrea e a Roma per la imperiale, secondo il costume antico; ma, pressato dagli avvenimenti della Germania, e forse vergognoso di mostrarsi in festa in due città, fresca l'una di gravi maltrattamenti e l'altra del più infame saccheggio, deliberò di ricevere in Bologna stessa i due diademi della Lombardia e dell'Impero.
Ebbe il primo dalle mani del papa il 22 febbraio 1530 nella cappella del Palazzo pubblico; il secondo due giorni dopo nella cattedrale di San Petronio, il dì di San Mattia, trigesimo anniversario della sua nascita e quinto della battaglia di Pavia: e fu solennità da ottant'anni indietro non più veduta in Italia, straordinaria per lo sfarzo e la grandiosità del concorso, e per esser stata l'ultima.
Carlo V, contrariamente all'uso degli antecessori, non invitò gli elettori della Germania; e in luogo dei soliti cavalieri tedeschi, fece schierare in piazza le numerose genti di varia nazione comandate dal capitano imperiale Anton de Leyva, il quale, non potendo per la podagra montare a cavallo, stava assiso su una magnifica sedia.
Aprivano il corteggio paggi e araldi spagnuoli, seguiti dal Marchese di Monferrato e dai duchi di Baviera, d'Urbino e di Savoia, con lo scettro, la palla d'oro, la spada
 
e la corona. Veniva poi l'imperatore in mezzo a' due cardinali diaconi, Salviati e Ridolfi, e dietro ad essi, sfolgoranti per vesti pompose, i grandi di Spagna e d'Italia, Andrea Doria, Alessandro de' Medici, Gian Luigi Caraffa, Alessandro, Ferrante, Gian Francesco e Luigi Gonzaga, Gianfrancesco e Giovanni Trivulzio, Alberto Pio, Giovanni del Carretto, Gianfrancesco Pico, Giacomo e Giovanni dal Verme e molti altri. Chiudevano i membri del Consiglio intimo e uno stuolo di cavalieri guarniti d'oro e d'argento.
In San Petronio Carlo V dapprima indossò gli abiti da canonico di quel Capitolo; poi, nella cappella dedicata a San Gregorio magno, li sostituì con altri arredi, tra i quali un piviale preziosissimo che raffigurava l'aquila nera bicipite tra le due colonne d'Ercole recanti il suo motto "PLUS ULTRA".
Quindi, unto con l'olio santo, ricevette la corona e le insegne di universale dominio sui popoli cristiani, e fece il giuramento solito di difendere i possessi e diritti della Chiesa romana e del papa.
Dopo la cerimonia, tra gli altri numerosi festeggiamenti in onore dei Sovrani, si fece la famosa cavalcata, al cui confronto l'imponente corteggio che aveva accompagnato l'imperatore in chiesa doveva apparire niente più del seguito di un piccolo principe: Una cavalcata splendidissima al punto da empir di maraviglia i cortigiani del tempo, benchè avvezzi alle sfarzose e frequenti feste delle Corti italiane, prima di tutte la papale.
Si vide infatti con la massima pompa, sotto il baldacchino sorretto da Senatori di Bologna, il papa cavalcare alla destra dell'imperatore; e intorno ad essi in lunghissima sfilata, oltre tutti i componenti del precedente corteggio, disposti in ordine esatto di precedenza, un gran numero di prelati e dignitari ecclesiastici, di inviati di Stati vassalli, di rappresentanti del Comune, accompagnati da tutte le milizie a cavallo in piena parata, con abiti, ornamenti e arredi suntuosissimi.
La meraviglia e anche l'adulazione dei contemporanei si specchiarono in un numero grandissimo di descrizioni e di rappresentazioni figurate della festa, per opera di cronisti e di artisti, d'ogni paese; onde a ragione Pietro Varchi nelle sue Storie Fiorentine dice: "Della quale coronazione essendo stato, e latinamente e toscanamente scritto da tanti e tanto particolarmente, non ne dirà se non che ella mi pare, quanto alla pompa e magnificenza, maggiore ora quando io la leggo che non mi parve allora quando io la viddi".
Non deve, del resto, recar maraviglia se cosi abbondante è la riproduzione artistica e della coronazione e della cavalcata, quando si ricordi come in quell'epoca del Rinascimento, che tanto ancor risentiva l'influenza dell' antichità, era quest'ultimo un genere artistico assai in voga.
Il trionfo era stato un motivo assai frequente nell'arte antica, nè si può dire scomparso del tutto nel medioevo, dove figura trasformato a scopo mistico nelle danze macabre e citiamo solo le italiane del Camposanto di Pisa, di Clusone e di Pinzolo.
Ma al Mantegna, ispirato alle fonti classiche, spetta il merito di averlo rinnovato e rimesso in onore con il suo famoso trionfo di Cesare (dipinto nel 1492 e conservato oggi nella galleria di Hamptoncourt); dal quale ben presto derivò una fitta figliazione di trionfi non solo, ma altresì di processioni, di cavalcate, ecc. che tutte dal più al meno risentono l'influenza del restauratore.
Se ne risente, per esempio, il celebre trionfo dell'imperatore Massimiliano dipinto dal Durer nel 1522 a Norimberga e riprodotto da lui stesso in una grande incisione; nè tanto meno andarono immuni da simile influsso l'incisione dell'Hogenberg e l'affresco del Brusasorci dei quali ci occuperemo ora di proposito, tra i numerosi che rappresentano la cavalcata di Bologna...

Ultima revisione il 25-01-2023